2-1 – Prime teorie Lombroso e il criminale nato
Nel XIX secolo, il medico e antropologo italiano Cesare Lombroso sviluppa la teoria del “criminale nato”, che segna l’inizio della criminologia positivista. Secondo lui, alcuni individui nascono con predisposizioni innate al crimine, identificabili da caratteristiche fisiche e morfologiche distintive.
Lombroso si basa su misurazioni antropometriche dettagliate di criminali, confrontate con quelle di non criminali. Descrive tratti “atavistici” nei delinquenti, come una mascella prominente, arcate sopracciliari pronunciate o orecchie a sventola, che interpreta come segni di degenerazione e di ritorno a uno stadio evolutivo precedente. Per lui, i criminali costituiscono un sottotipo della specie umana, biologicamente determinato.
La sua teoria si colloca nel contesto scientifico dell’epoca, segnato dal darwinismo e dalle teorie della degenerazione. Riflette anche i pregiudizi di una società che tende ad assimilare classi popolari, follia e criminalità. Lombroso estende poi la sua teoria ai “criminali matti” e ai “criminaloidi” nei quali la predisposizione sarebbe meno marcata.
Nonostante un impatto importante, le tesi di Lombroso vengono rapidamente criticate dal punto di vista metodologico, in particolare per la mancanza di un gruppo di controllo adeguato e per l’assenza di verifica statistica. Autori come il sociologo francese Gabriel Tarde sottolineano l’importanza dei fattori sociali nella genesi della criminalità.
Sebbene ampiamente invalidata, la teoria di Lombroso ha il merito di proporre uno studio sistematico delle cause del crimine e apre la strada alla criminologia moderna. Illustra anche le possibili deviazioni di un approccio esclusivamente biologico che ignora i determinanti psicologici, sociali e situazionali. Le teorie successive cercheranno di superare questo riduzionismo proponendo modelli multifattoriali più complessi.
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